CACCIA E PESCA NELL’ANTICA POMPEI (VI E ULTIMA PARTE)

Le altre parti sono visibili in STORIE DI MEZZO, una sezione di Mezzostampa
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I cacciatori avevano tuniche succinte (aliculae), con le gambe protette dai gambali (crepides) o da mollettiere (fasciae crurales), e spesso con un cappello aderente (galerus) per difendersi dai raggi solari.

Le armi da caccia erano la fionda (funda), i giavellotti per colpire da una certa distanza (iacula, lanceae), il coltellaccio (culter venatorius), l’arco e le frecce, e nella caccia contro il cinghiale o altre fiere pericolose, il VENABULUM. Era questo un’asta di legno robusto con all’estremità un ferro largo, lungo e affilatissimo, munito alla base di due punte ferree (morae) allo scopo di trattenere a distanza dal cacciatore l’animale colpito con cui c’era poco da scherzare anche se trafitto a morte.  Era questo un’arnese destinato a coloro che erano forniti di buona dose di coraggio.

Quando si era giunti sul luogo della battuta, un gruppo di VESTIGATORES, quasi sempre schiavi, tenendo a guinzaglio i cani da fiuto, seguivano le piste degli animali cercando di scovarli. Una volta che le bestie saltavano fuori dal nascondiglio iniziava l’inseguimento; quelle che erano ferite, si rivoltavano contro i cani che le finivano in un “corpo a corpo”; la maggior parte invece fuggiva con i cani alle calcagna, bersagliata da pietre, frecce, lance, spaventata dagli urli e spinta abilmente in direzione delle reti dove rimaneva impigliata.

A dirottare le prede verso i luoghi più sicuri servivano le FORMIDINES (Seneca, De Ira, II,11,5), lunghi fili ai quali erano legate piume coolorate, spesse di rosso. Queste con il loro fruscio e i loro colori vivaci riuscivano a spaventare i cervi che tornavano indietro incontro alla morte.

Le reti potevano essere:

-a maglie larghe (RETIA), per circoscrivere il terreno di battuta al fine di impedire che la selvaggina uscisse di zona;

-a maglie strette (CASSES), per fornire insaccature (sinus) destinate ad avviluppare l’animale capitatovi;

-a maglie strette (PLAGHAE), che servivano nei punti di passaggio ad intralciare gli animali in fuga.

A volte la caccia da grande battura si svolgeva come una gara di corsa tra l’uomo e l’animale; abili cavalcatori inseguivano la lepre a cavallo, e quando essa si stancava era raggiunta e colpita con una mazza.

In proporzione al crescere dei bisogni sulla richiesta di carni, i grandi proprietari intrapresero l’allevamento della selvaggina di grossa taglia. All’uopo c’erano le riserve (VIVARIA) che coprivano molti ettari ed erano recintate e poste sotto la sorveglianza di guardiacaccia.

Secondo Marziale la migliore selvaggina quadrupede era la lepre allevata nei LEPORARIA, il cinghiale, il capriolo, il daino, il cervo e il montone selvaggio.

La PESCA, pericoloso e gramo mestiere di gente umile, aveva, come la caccia, i suoi amatori, e molti vi si dedicavano per divertimento. Il mezzo più diffuso usato dai pescatori di mestiere era un’ampia rete da strascico tenuta immersa da pesi (piomi o pietre) e provviste agli orli di grossi sugheri (SAGERA, VERRICULUM, TRAGUM) materiale che è stato trovato nell’immediato suburbio portuale di Pompei.

Con un simile armamentario naturalmente bisognava essere in parecchi e stare molto tempo in mare. La rete più piccola (iaculum) serviva a coloro che, pur stando a terra o su uno scoglio, volessero pescare senza particolari pericoli; tale rete era fatta in modo tale che il suo orlo si chiudeva quando veniva tirata una cordicella, impedendosi così al pesce di saltare fuori durante l’emersione. Il pescatore isolato adoperava la lenza (LINEA) e l’amo (HAMUS) né più né meno come quelli odierni.

Un altro modo per pescare era quello di lasciare in mare per molto tempo certi cestini di vimini (NASSAE) con l’imboccatura stretta; queste erano delle vere trappole per i pesci che vi si infilavano facilmente senza riuscire a trovare più la via del ritorno.. Con i pesci di grossa mole e con i grossi molluschi si adoperavano mezzi cruenti uccidendoli a colpi di tridente dalle più svariate dimensioni. I pesci più ricercati erano lo storione (acipenser), il rombo, la murena, lo scaro, il grongo, l’anguilla di mare, il tonno, l’orata (aurata), il muggine, la triglia (mullus), lo sgombro, lo scorpione marino, la torpedine, la sogliola, il polipo, la langustaa, la seppia, il gambero (cancer-squilla).

A conclusione c’è da dire che, siccome gli antichi erano molto golosi di lumache, esse erano cacciate da chiunque e quindi questo tipo di caccia si considerava un passatempo utile alla mensa e anche remunerativo per i più poveri.

BIBLIOGRAFIA

MATTEO DELLA CORTE: Case ed abitanti di Pompei, Fausto Fiorentino

C.D’ALESIO: “Dei e Miti”, edizioni Labor, 1962

E.DE SAINT DENIS: Vocabulaire des animaux en latin classique, Paris, Klincksiek 1947

J.ANDRE’: L’alimentation e la cuisine a Rome-Le belles lettres, Paris 1981

PLINIO, N.H.XVII, 220--VIII,224---IX,143—

VARRONE,R.R.III,15,2

GIOVENALE,II,143

MARZIALE,Xen,XIII,92

SENECA,Ep.78,24